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Attraverso il Mediterraneo – Tra ricatti e torture, il duro viaggio dei profughi africani

“Non è grossa, non è pesante la valigia dell'emigrante... C'è un po' di terra del mio villaggio, per non restar solo in viaggio... un vestito, un pane, un frutto e questo è tutto. Ma il cuore no, non l'ho portato: nella valigia non c'è entrato. Troppa pena aveva a partire, oltre il mare non vuole venire. Lui resta, fedele come un cane. nella terra che non mi dà pane: un piccolo campo, proprio lassù... Ma il treno corre: non si vede più.”

Gianni Rodari, “Il treno degli emigranti”


“Mafia”, “Camorra”, “’Ndrangheta”, in Italia la conosciamo con diversi nomi, tante terminologie per indicare un’unica cosa: un’organizzazione criminale basata su violenza e omertà. Secondo i vari stereotipi – rafforzati anche da diversi fatti storici susseguitesi negli anni – le organizzazioni mafiose sono spesso associate all’Italia. Tuttavia, purtroppo, organizzazioni delinquenziali di questo calibro sono diffuse ovunque nel mondo, dall’IRA Irlandese, alla Yakuza Giapponese.


Nel territorio del Mediterraneo è tristemente conosciuto il gruppo armato degli “Asma Boys”, colpevole di rapimenti, maltrattamenti e nel territorio Libico. Molti si soffermano solo sulla questione dei salvataggi in mare e dell’arrivo degli immigrati sulle coste italiane, ma pochi sanno quanto sia difficile e soprattutto pericolosa la situazione in Libia. Tante ragazze e ragazzi immigrati raccontano infatti di aver avuto a che fare con gli Asma Boys, solitamente prima di potersi imbarcare in maniera assai precaria su una barca diretta verso l’Europa: i giovani vengono rinchiusi in prigioni sovraffollate e lasciati senza cibo né acqua per giornate intere, mentre vengono torturati. Questa situazione può durare anche diversi mesi, e termina solo nel momento in cui genitori, parenti o conoscenti riescono a mettere insieme la somma di denaro del riscatto richiesto. Spesso però capita che alcuni giovani non abbiano collegamenti, quindi al fine di raggiungere la quota – che può arrivare fino a migliaia di euro – sono costretti dai membri dell’organizzazione a prostituirsi per mesi contro la propria volontà.

Le torture subite quotidianamente per diversi mesi spesso portano a condizioni croniche sia a livello organico che psicologico, mente e corpo vengono sottoposti a terribili atrocità e questo ha chiaramente delle conseguenze: alcuni testi scientifici sottolineano come queste ripetute violenze possano condurre ad un’insorgenza di disturbi dello spettro post-traumatico e/o depressivo, condizione molto simile a quella che si presenta nei reduci di guerra. A questo si sommano gli stereotipi e i pregiudizi che spesso li accolgono al termine di questo estenuante viaggio.

Per questo motivo, data la precaria e difficile condizione psicologica con cui queste persone arrivano sulle coste europee, sarebbe opportuno investire adeguatamente su percorsi riabilitativi che vadano a contenere le loro angosce. L’obiettivo primario sarebbe reinserirli in un contesto sociale accogliente, accrescere il loro senso di autostima e autoefficacia e ristabilire una fiducia verso quello stesso genere umano da cui si sono sentiti traditi.


Articolo a cura della Dott.ssa Ottavia Fasciano

Laureata in Psicologia Clinica e della Salute

ottaviafasciano@gmail.com




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