“Accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere sé stesso.”
PRIMO LEVI
Tra le donne immigrate, in particolare tra le donne provenienti dalla Nigeria, vi è una paura che accomuna tutte loro, ovvero perdere i loro figli quando entrano in Italia. Queste voci non sono poi tanto infondate: sono stati registrati infatti diversi casi di donne a cui sono stati portati via i propri figli e dati in affido o in adozione a famiglie italiane che hanno mostrato il loro interesse nel poter divenire genitori di piccoli bambini migranti che hanno vissuto situazioni drammatiche e che arrivano in Italia insieme alle loro madri, sopravvissuti talvolta a viaggi in condizioni estreme. Molto spesso i tribunali italiani tolgono i bambini piccoli a donne migranti, vittime di tratta, perché non sono ritenute buone madri. In molti casi si tratta di equivoci legati alle differenze culturali nell’attaccamento e nel legame che si instaura tra le madri africane e i loro figli.
In generale quando una donna migrante arriva in Italia, viene ospitata con i propri figli in delle case-famiglia che hanno un duplice compito ovvero quello di supporto e quello di osservazione. Se nell’osservazione viene notato qualcosa di non adeguato le donne rischiano di essere separate dai propri figli e cacciate dalla casa famiglia potendo poi vedere solo un’ora/due ore a settimana i bambini con la presenza di un supervisore. Il comportamento di queste mamme è sotto giudizio per tutto il tempo e basta un contrattempo come un ritardo per colpa dell’autobus, oppure l’aver portato del cibo senza chiedere se i bambini abbiano già mangiato a portare ad un punto di rottura. Dunque, le madri non possono godere del tempo con i loro bambini in modo sereno poiché sono giudicati tutti i loro comportamenti come se dovessero superare un “esame di buona condotta per essere una brava madre”.
E se l’esame non viene superato? A questo punto i bambini vengono dati in affido o in adozione interrompendo nettamente i legami con i genitori biologi con il pretesto di abbandono, non mettendo al primo posto il bene del bambino. In questi casi, accade spesso di ritrovare da una parte le famiglie adottive che tante volte non sono nemmeno a conoscenza che c'è un ricorso in atto, dall'altra c'è la madre che continua a richiedere la potestà genitoriale.
Tutto questo però non è legittimo ed è per questo che la Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) condanna l’Italia poiché non si possono interrompere le frequentazioni della madre con i figli fino prima della fine del procedimento giudiziario a meno che non ci siano abusi o pericolo per i minori.
Questa condanna verso il nostro paese arriva a causa di un ricorso presentato alla Corte Europea da una donna a cui sono state portate via due figlie.
La storia di questa donna è molto simile a tante altre. Dopo alcuni anni in cui era stata sfruttata sessualmente, rimane incinta e per poter garantire alla sua bambina un futuro migliore,decide di affidarsi al sistema anti-tratta: denuncia la sua sfruttatrice, testimonia al processo contro di lei e acquisisce il permesso di soggiorno. A questo punto,la donna trova un compagno, ha un'altra bimba che però un giorno non si sente bene e per questo viene portata in ospedale. La madre è preoccupata e in stato di confusione, chiede chiarimenti, non capisce cosa avviene per cui si lascia prendere dal panico volendo sapere a tutti i costi cosa stessero facendo a sua figlia e per questo motivo il servizio sociale dell'ospedale chiama la procura minorile. Le viene sospesa la potestà genitoriale e da qui inizia un calvario che porta la donna a perdere entrambe le figlie che vengono separate e date in adozione a due diverse famiglie italiane.
Questa donna lotta per poter riavere le sue bambine e i suoi avvocati - dopo aver perso in appello – hanno portato il caso alla Corte Europea dei Diritti Umani e la CEDU le ha dato ragione. Lo Stato italiano è stato condannato a risarcire la donna al fronte dell’infrazione dell'articolo 8 della Convenzione europea: infatti, ad essere stato leso è il "rispetto della vita privata e familiare", dal momento che è stato privato alla madre biologica di continuare a vedere le figlie sebbene non vi fossero stati abusi o situazioni di pericolo. Inoltre, dall’inchiesta emerge anche che i tribunali nazionali hanno valutato le capacità genitoriali della donna senza tener presente la sua origine nigeriana, il diverso modello di attaccamento tra genitori e figli che si può trovare nella cultura africana e la mancata attenzione alla vulnerabilità della madre in quanto vittima di tratta.
Emerge dunque come sia necessaria nei centri di accoglienza, negli ospedali e nei tribunali la presenza di mediatori culturali e l’assenza di strumenti adatti mostra come sia facile avviare procedimenti per togliere i figli alle donne nigeriane, anche con pretesti banali, come potrebbero essere quello di dare da mangiare con le mani, spronare il bambino a mangiare,il modo in cui un bambino viene tenuto in braccio ecc, non pensando a quale sia davvero la scelta migliore per i bambini. Nel momento in cui si decide se la madre ha una buona capacità genitoriale o meno è necessaria la presenza di un etno-psicologo o un etno-psichiatra per permettere di comprendere il diverso contesto simbolico di riferimento al fine di riuscire a valutare il modello di madre africana, diverso da quella italiana.
Le donne spesso si ritrovano da sole in questa situazione, senza una rete famigliare, amicale e sociale che possa supportale ed è per questo che in diverse città gruppi di avvocati, antropologi, etno-psicologi e mediatori si sono uniti al fine di aiutare queste donne a fermare questa catena di adozioni o allontanamenti dei propri figli con pretesti falsati e sbagliati, non riconducibile ad abbandono né fisico né morale. Inoltre, viene offerto loro supporto psicologico a causa dei sentimenti di dolore, di confusione e di paura che insorgono nelle donne a causa della perdita dei propri figli e della loro famiglia che è stata spezzata perché vittime del sistema.
Bibliografia:
A cura della Dott.ssa Frascina Tatiana
Laureata in Psicologia-Neuroscienze Cognitive
tatiana.frascina@libero.it
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